Non volevo guardarlo, decisamente non volevo: era un orizzonte frastagliato, senza logica, senza rigore. E io invece amavo proprio la logica e il rigore.
Sapevo che guardare, prima ancora che vedere, voleva dire essersi convinto della possibilità di guardare, aver ammesso l’esistenza dell’oggetto; e in definitiva, per quanto collaterale, del soggetto.
Appunto, non era il mondo esterno che mi infastidiva, quello poteva benissimo esistere, e persino senza chiedermi il permesso.
Quello che non mi rassegnavo ad accettare che esistesse, nonostante la logica lo negasse, ero io. Io esistevo. Troppo tardi.