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Ho controllato tutto

Ho controllato tutto, ho preso tutti i documenti, e soprattutto le chiavi; le ho controllate almeno tre volte: spero solo che aprano ancora. Quella grande era mezza arrugginita, per pulirla ci ho messo mezz’ora, forse ora ce la fa.

Da mangiare ho abbastanza, e comunque potrò sempre trovare qualcosa nel ristorante vicino la chiesa. Chissà se esiste ancora la taverna di Ann Bridley, la zia di Almond; chissà ormai quanti anni avrà… Almeno settanta, neanche mi riconoscerà. Forse dovrei portare le foto di mamma, magari di lei si ricorda ancora.

Porto anche due maglioni con il collo alto, non si sa mai; la sera c’è sempre troppo freddo, e se il vento che viene da Sheppey è ancora lo stesso dopo quarant’anni, meglio essere preparati! E speriamo che le stelle si vedano ancora! E come mi piacerebbe ritrovare lo stagno di Almond…

Non torno a Whitstable dall’estate del ‘69, dal 28 agosto del ‘69. Da quando avevo nove anni. Come mi dispiaceva, quella mattina, partire! Per soli due giorni non avrei potuto festeggiare i miei dieci anni con Almond, un vera sciagura. Avevamo preparato la festa per tanto tempo, io e lui; e papà sul più bello ci dice di partire: Londra!

E tutti a Londra per quarant’anni…

In tutto questo tempo non ho avuto il coraggio di tornare a Whitstable, che stupido!

I primi tempi non osavo, perché ero diventato un vero londinese, e i veri londinesi non vanno in campagna se non con la governante. Mentre io non avevo nessuno, a parte la mamma, Melissa e Sylvie. Ma le mie sorelle erano troppo grandi per occuparsi volentieri di me, e troppo piccole per portarmi indietro allo stagno di Almond. E la mamma, o lavorava fuori casa, o cuciva fino a notte, e la domenica la passava sempre con papà a cercare una casa meno cara della nostra.

Dopo i primi anni, avevo quasi dimenticato la vecchia casa, e forse era meglio così: se solo avessi scoperto che sul mio letto ora dormiva un marinaio che puzzava di alghe secche e rhum, credo che sarei diventato furioso. Nella stanza delle sorelle, adesso vivevano i suoi tre compagni, che si davano i turni sulle barche. E il salone e la camera di mamma e papà, che erano le uniche stanze più grandi, le avevano trasformate in deposito di reti e carta e cartoni vecchi, fino al tetto. Povera la mia stanza!

Poi il lavoro, al giornale, in banca, e in quegli anni non potevo certo lasciare Londra e tornare nel mio piccolo paese nel Kent. Mentre tutti i miei colleghi venivano dal nord, e non potevano capire la vista del mare blu e dei gabbiani.

Alcuni gabbiani quasi ci riconoscevano, perché io e Almond ogni giorno alla stessa ora sedevamo vicino alla riva, e aspettavamo il rientro delle barche. Aspettavamo fino a quando la mamma di Almond, che era più piccolo di me, non lo chiamava per la cena. Ed io restavo solo, tra il prato e la banchina, fino quasi all’ora in cui papà tornava da Londra, a volte così tardi che tutte le stelle erano già alte davanti al porto.

Lavorare, quanto lavorava papà? E quanto ho lavorato io, prima di avere il tempo per tornare alla mia prima casa, come se per tutti questi anni non avessi lavorato che per ottenere il permesso di riprendermela.

E’ stata Londra che ci ha rapiti, e Londra che finalmente mi ha liberato. E adesso posso tornare a casa.

Ho preparato tutto: le chiavi finalmente sono pronte, e anche la casa è pronta. Ora ho il coraggio di tornare, anche per pochi giorni. Ora saprò restare, ritrovare lo stagno, la chiesa; e chiederò ad Ann Bridley di suo nipote.

E chissà se quei gabbiani mi riconosceranno ancora, stasera, sulla banchina.